Il paese che uccide le donne di Giuseppe Carrisi – ARTICOLO
Carissimi Book Lovers, oggi vi riporto l'articolo del romanzo di Giuseppe Carrisi "Il paese che uccide le donne", edito dalla casa editrice Infinito Edizioni. Vi lascio come sempre i dati del libro e un articolo di approfondimento.
Trama
È un romanzo storico, Il Paese che uccide le donne, un libro che, attraverso personaggi di fantasia, racconta col piglio del reportage il Messico contemporaneo. Un Paese in cui per quasi tutti è difficile vivere, ma per una donna ancora di più.
Paul e Dana sono, così, i protagonisti di una storia corale che ha per sfondo l’intero Paese, il cui cancro storico si chiama droga e la cui realtà, nell’ultimo decennio – il più violento in assoluto – è ben spiegata dal numero di omicidi: oltre 215mila, pari a uno ogni 23 minuti. Un Paese “fantoccio” in mano ai narcotrafficanti, che vanno a braccetto con pezzi delle istituzioni. Un Paese dove con sessanta euro si può affittare un killer. Dove i femminicidi sono all’ordine del giorno. E dove i poliziotti proteggono i delinquenti e gli innocenti vengono torturati per confessare crimini mai commessi.
“Una frase del libro di Carrisi spiega tanto del Messico di ieri e di oggi: chi si affida allo Stato per chiedere giustizia scopre presto che è quello stesso Stato a essere complice dei crimini che ha denunciato”. (Riccardo Noury)
Articolo
Oltre 3600 donne uccise in Messico nel 2019. Una media di 10 al giorno. Migliaia quelle scomparse. Numeri allarmanti che dimostrano come quello dei femminicidi rimane uno dei problemi irrisolti del Paese. Un problema che affonda le sue radici nel recente passato. Dal 1993, infatti, uno scenario di violenza sistemica contro le donne fa da sfondo alla storia della società messicana, già dilaniata dal narcotraffico e dalla corruzione. Solo nell’ultimo decennio – il più violento in assoluto – si sono contati ben 215 mila omicidi. Uno ogni 23 minuti. Nemmeno Siria e Afghanistan raggiungono simili record. E migliaia di desaparecidos. Vittime, soprattutto, ragazze, giovani donne e, perfino, bambine. Rapite, violentate, uccise, massacrate, mutilate nel corpo e nell’anima. Fatte sparire nel nulla.
Eppure, di fronte a tanto scempio di vite umane, perdura l’impunità. La quasi totalità di questi crimini non ha - ancora oggi - un colpevole. Tutto questo perché il Messico – tradizionalmente machista - è diventato un Paese fantoccio”, in mano ai cartelli della droga che vanno a braccetto con pezzi delle istituzioni. Dove con sessanta euro si può affittare un killer. Dove i poliziotti proteggono i delinquenti e gli innocenti vengono torturati per confessare crimini mai commessi. Dove chi i crimini li ha commessi non sarà mai processato né – tanto meno – condannato. E dove il potere politico preferisce chiudere gli occhi. Negare l’evidenza. Nascondere. Imporre una narrativa che non rispecchia la realtà. Lasciando mano libera ai cartelli della droga e alla criminalità che spadroneggiano a suon di morti ammazzati.
Simbolo di questa tragedia – per la verità non solo messicana - Ciudad Juarez, che più di ogni altra piange le sue donne. Testimonianza ne sono le croci rosa, ormai parte integrante del paesaggio urbano, piantate nei luoghi dove sono stati ritrovati i loro corpi. I murales che ravvivano di colori la monotonia del rosso del loro sangue. I manifesti, con i loro nomi e le loro fotografie, che tappezzano la città. Tutti segni di una memoria individuale, che diventa così collettiva. Per non dimenticare.
Ecco perché ho deciso di scrivere “Il Paese che uccide le donne”. Per accendere i riflettori su questa realtà poco conosciuta. Per dare dignità alle tante, troppe donne che hanno – loro malgrado – condiviso un atroce destino. Per dare voce ai loro familiari che continuano a cercare la verità. Padri, madri, figli, fratelli, sorelle, nonni, nipoti che non si stancano di chiedere giustizia. Anche a costo di pagare un prezzo altissimo. In Messico chi chiede giustizia viene ammazzato. Così come chi denuncia, chi si batte per la pace sociale. Chi si ribella ai soprusi, alle estorsioni, chi non paga i riscatti per gli ostaggi rapiti. Chi la verità la cerca, la indaga, la scrive. La urla.
Javier Sicilia – poeta messicano di origini italiane, che in questa guerra di tutti contro tutti ha perso un figlio di 24 anni ucciso per errore in una faida di mafia – ha scritto che il Messico è un Paese “corrotto e dolente”, ma nonostante tutto “pieno d’amore”. Ecco, questo libro – prima di ogni altra cosa – vuole essere un atto d’amore verso il Messico (e i messicani). E, allo stesso tempo, una denuncia dei tanti “mostri” che convivono al suo interno. Quei mostri che hanno “vampirizzato” l’esistenza dei due protagonisti – Paul e Dana – e di tanti innocenti come loro. Perché, come spesso accade, la realtà supera la fantasia.
La consapevolezza è l’arma più grande per combattere questa piaga, per mettere in moto il processo di cambiamento della politica, della cultura, della società messicane che hanno generato quest’aberrazione. Nel tentativo di riparare alle ingiustizie e ridare speranza a quanti vedono calpestati i loro diritti.
Giuseppe Carrisi